CERCARE LA FELICITÀ PER NOI E CON GLI ALTRI

PUBBLICATO IL 07 APRILE 2021 IN RIFLESSIONI

Riappropriarsi dei sensi, anche quando tutto quello che ci circonda spinge in direzione opposta, storditi da un abuso di tecnologia, di tv, di tutto ciò che è virtuale. Invece, sentirsi e sentire vuol dire comprendere e diventare consapevoli di quello che stiamo vivendo, attimo per attimo, come nel momento in cui sto scrivendo. Questa è per me la vera bellezza e la ricchezza del vivere: godere di ogni attimo, godere del momento presente, anche quando, anzi, soprattutto quando, il mondo fuori ci spinge a pensare a qualcosa di diverso.

Quando ripercorro la vita vissuta fino ad oggi, non posso fare a meno di pensare ai momenti cruciali, positivi e negativi, ai miei errori, ai cambiamenti, alle sfide. Mi soffermo su questi momenti, analizzo le esperienze che mi hanno segnato e devo constatare che ciò che c’è “fuori” di me è molto diverso da quello che io pensavo di avere dentro.

Le esperienze mi hanno cambiato e, soprattutto, hanno di volta in volta cambiato la percezione che avevo di me, o meglio quello che io credevo di sapere di me. L’incongruenza tra il Giuseppe atteso-immaginato e quello realizzato mi ha a volte sorpreso favorevolmente, altre volte no, ma il riconoscere e vivere questa non coincidenza è stato per me sempre un’occasione di crescita, una sfida ulteriore.

La sfida verso me stesso, la lotta volta a capire chi sono, cosa voglio, cosa posso fare, cosa posso essere.

Queste domande hanno tutte a che vedere con la definizione della nostra identità, con la ricerca di senso individuale e non e, perché no, con la ricerca della felicità.

La felicità, appunto.

Sento spesso affermazioni del tipo: “Voglio essere (o sentirmi) felice”.

Con questa richiesta si esprime un desiderio, il desiderio di “qualcosa” da raggiungere, qualcosa che però non si sa bene identificare e si esprime anche l’ansia e il timore di non riuscire ad esaudire tale desiderio, di non poter toccare quello stato di grazia tanto agognato. Come se, una volta approdati ad esso, potessimo placare la nostra sete e dichiarare la ricerca conclusa! Capita, pensando al passato, di far coincidere la felicità con una relazione, con un lavoro, con un cambiamento, con un progetto. Ricordiamo la scossa di adrenalina che pervadeva il nostro essere durante quelle esperienze appaganti, piene, gratificanti. Sì, ma per quanto? Queste esperienze si sono poi concluse, interrotte o semplicemente le abbiamo digerite ed espulse. Ed è rimasta la nostalgia di quella adrenalina, di quella sensazione di benessere così vicina alla felicità.

 

Ma, forse, non cadiamo in errore quando ci ostiniamo a far coincidere la felicità con uno di questi stati o condizioni?

 

E perdiamo così di vista la vita nella sua globalità, nel suo senso più ampio. Ma come facciamo a sapere se ciò che crediamo di desiderare, e con pervicacia perseguiamo, sia davvero, o faccia davvero, la nostra felicità?

Le domande sono tante. Ora, mentre scrivo, sto cercando di dare ordine ai pensieri che fluiscono nella mia mente, e cerco di vivere questo momento appieno e stando attento a non perdere di vista il senso del meraviglioso viaggio che è la vita.

 

Un viaggio che è all’inizio, o meglio, che è sempre a un nuovo inizio, perché siamo in continuo cambiamento, e mai e poi mai dovremmo negarci la possibilità di pensare, immaginare e infine produrre il cambiamento che desideriamo.

 

Sono ad un nuovo giro di boa e intravedo la strada che prosegue verso una nuova direzione, magari sconosciuta, impegnativa. Ho una certezza, però, che affonda la sua ragion d’essere nel mio desiderio, nel mio attuale desiderio: il desiderio di ricerca, di comprensione della natura della mente, dell’etica umana, delle strade che ci avvicinano al senso della vita.

Ad un certo punto del mio percorso ho sentito che ciò che stavo facendo non mi rendeva felice e ho iniziato a nutrire la convinzione che dedicarmi a me stesso fosse in qualche modo in contrasto con il sostegno dato alle altre persone. Fu importante per me, in quel momento di disorientamento, avvicinarmi alle psicologie orientali e, anche grazie ad esse, ad una visione sistemica, e quindi capire che occuparsi di se stessi e contemporaneamente degli altri è fondamentale per l’esistenza umana e che, lasciare in disparte il sé, nella visione occidentale della compassione ad esempio, è una omissione drastica.

Impariamo da bambini che la nostra identità esiste e si delinea anche e soprattutto in relazione con gli altri, per cui non può esistere un sé senza un noi. Ma per avere una vita equilibrata è importante percepire e difendere la propria identità, così come abbiamo bisogno che gli altri la riconoscono uguale in dignità e diversa per peculiarità, anche nella ricerca della felicità.

Forse è proprio questo un primo, piccolo spiraglio di apertura rispetto al concetto di felicità. O, almeno, della mia felicità. Se io compio delle scelte che mirano a sollevare un essere dalla sofferenza, riesco a provare una sorta di benessere estremo, che si tratti di piccole o di grandi cose.

 

Ma il passaggio cruciale sta nel fatto che per arrivare a provare una felicità piena, la compassione e l’amorevolezza devono essere contemporaneamente applicate a se stessi e agli altri. Ecco una delle mie sfide… di una vita.